Crocodile Sushi Roll - Episode 1


Nessuno di loro aveva mai catturato un coccodrillo prima d’ora. Non che io lo avessi fatto, o perlomeno ne avevo “catturato” uno di nemmeno cinquanta centimetri e con non poche difficoltà, dovrei aggiungere, del genere che mi ha tenuto in stallo per una decina buona di minuti mentre brandivo una scopa ed un secchio che con grande destrezza poi gli ho piazzato sulla testa con un urletto poco professionale.
Qui ne abbiamo 45, e nessuno di loro è sotto il metro e mezzo di lunghezza.
Quando sono arrivati ho provato tanta pena per il posto da cui venivano,  stipati in centinaia in vasche di cemento, ammassati, malati e stressati. Condannati a diventare borsette e cinture. I catturatori di coccodrilli hanno svuotato lentamente la vasca dove erano rifugiati i più, e poi sotto indicazione del proprietario dell’allevamento, che indicava con il suo ditone tozzo, li hanno catturati al lazo e trascinati fino a terra mentre si rotolavano furiosamente cercando di sfuggire al cappio attorno alla loro mandibola. Poi gli son saliti sopra come fossero tappeti volanti, con entrambi i piedi a schiacciargli la schiena e il collo, uno di loro resta su e gli altri gli piegano indietro gli arti in maniera innaturale legandoli stretti con nastri di plastica arancione. Poi con una mossa brutale del piede gli chiudono la bocca sigillandola con una fascina di elastici di gomma.
Così incaprettati i coccodrilli venivano trasportati senza alcun riguardo, come sacchi di patate sbattuti sul camion.
Non abbiamo nessuna intenzione di usare le stesse maniere brutali e irrispettose che abbiamo visto usare agli addetti ai lavori, tanto meno abbiamo la stessa spacconeria e noncuranza della vita altrui e della nostra, vista la leggerezza con cui camminavano su muretti larghi un mattone e mezzo che separavano a due metri d’altezza le vasche stracolme di coccodrilli affamati.
Sta di fatto che questi coccodrilli vanno catturati, ne va determinata l’identità e il sesso e quindici di loro dovranno essere immobilizzati e trasportati per più di 430 km fino ad un piccolo stagno recintato nel bel mezzo di una foresta di dipterocarpi in mezzo all’area protetta di Siem Pang, nel Nord-Est della Cambogia.
Lì i 15 fortunati di entrambi i sessi ozieranno nel canneto per cinque mesi circa fino a che, le piogge insistenti della stagione umida incrementeranno il livello delle acque fino a che la piccola palude non si incontrerà con il fiume e la recinzione sarà tolta lasciando i nostri ormai rinselvatichiti coccodrilli liberi di andarsene al fiume ad iniziare la loro nuova vita selvatica.
Questo è il piano.
Potrei finire il racconto qui, se fosse andato tutto secondo il piano.
E sarebbe un bel racconto anche se fosse filato tutto liscio, un racconto già di per se avventuroso e ricco di stranezze.
E invece no, questo è uno di quei racconti tipici dove va tutto male.

Questi non sono normali coccodrilli, sono Crocodylus siamensis ovvero coccodrilli del Siam, uno dei coccodrilli più rari al mondo.
La ragione per la quale C. siamensis è così vicino a timbrare il cartellino e lasciare per sempre questo pianeta (e a meno che non si prodighi a nuotare via nello spazio aperto come certi delfini), anche dell’intero universo conosciuto, non è diversa da quella di molte altre specie.
Le cause dell’estinzione di una specie sono quasi sempre le stesse anche se assumono diverse forme a seconda della situazione:
La prima è l’eccessiva caccia/prelievo/morti accidentali: se muoiono individui più velocemente di quanto si possano riprodurre il risultato è facilmente prevedibile.
La seconda è la distruzione e degradazione degli habitat, cioè quando l’ambiente viene distrutto o danneggiato tanto da non fornire più riparo/cibo/siti di riproduzione alle specie che ci vivono.
Nel caso del C. siamensis è successo che l’intensivo sfruttamento dei laghi, dei fiumi e delle aree paludose ne ha ridotto sensibilmente l’habitat, ma è stata principalmente una scriteriata caccia a decimare la popolazione. Da sempre questa specie viene cacciata per la pelle e la carne ma intorno agli anni ‘40 del 900 il mercato è esploso e in Cambogia (al tempo colonia francese) sono nati migliaia di allevamenti di coccodrilli dove la maggior parte della popolazione di C. siamensis è stata intrappolata.
Tanto che nel 1945 è stata emanata una legge a protezione della specie, precauzione abolita durante il periodo degli Khmer Rouge (guerra civile) e re-instaurata in seguito anche se mai veramente applicata, sopratutto negli anni ‘80 quando gli allevamenti di coccodrilli hanno iniziato a prosperare in tutta l’Asia e la Cambogia ha esportato un enorme numero di esemplari.

Nel 1992 C. siamensis è stato dichiarato estinto in natura. Il che equivale a una sentenza di morte per la specie, a meno che non si faccia qualcosa.
La stima degli esemplari allora presenti negli allevamenti nella sola Cambogia è di più di 20 mila esemplari.
Questa situazione paradossale è simile a quella delle tigri, che faticano a sopravvivere in natura vessate dal bracconaggio e dalla distruzione e degradazione dell’habitat (si stima 3’900 esemplari di tigre rimasti in tutto il mondo) mentre in cattività ne vivono più di 5’000 solo in Texas USA!

“Beh problema risolto, basta liberare quelli in cattività”
Mammagari.
No non è così facile, e sarebbe inutile liberarli se prima non si risolvono i problemi che li hanno portati all’estinzione la prima volta.

Problema numero 1
Dove li liberi che non c’è più il loro habitat?
Quindi ripristinare l’habitat, che significa istituire grandi aree protette, invertire i danni fatti da dighe e bonifiche, interventi su fiumi e corsi d’acqua, assicurare che abbiano sufficienti risorse (se i fiumi sono stati pescati fino a svuotarli e gli habitat di riproduzione dei pesci ora sono campi da golf cosa dovrebbero mangiare questi coccodrilli?)
Come capirete solo questo sono 10 anni di lavoro. Minimo.

Problema numero 2
Per massimizzare il profitto e avere prodotti di qualità sono state inserite due altre specie interfertili di coccodrillo negli allevamenti, il coccodrillo cubano Crocodylus rhombifer e il coccodrillo marino Crocodylus porosus, il primo per ottenere pelli dai colori più interessanti e quindi più apprezzate dai consumatori di stivali e borsette, e la seconda per far si che gli esemplari crescano di più e più velocemente, visto che il coccodrillo marino cresce anche fino a sei metri e mezzo di lunghezza, mentre il siamese cresce lentamente e raggiunge i tre quattro-metri al massimo.
E così covata dopo covata i nuovi nati con le desiderate caratteristiche non portavano con se il genoma della specie originale, mentre i loro antenati “puri” venivano trasformati in cinture e giacchette.

Nel frattempo C. siamensis è scomparso dal novantanove percento dell’habitat originale, che un tempo copriva una buona parte del sud est asiatico, quindi Indonesia, Brunei, Malesia dell’est, Laos, Cambogia, Myanmar, Vietnam e Thailandia. E fino poco tempo fa, si pensava fosse scomparso totalmente dalla Cambogia, sede della nostra storia.
Nel 2000 un gruppo di ricercatori ha tappezzato le montagne Cardamomo nel sud ovest della Cambogia di fototrappole. Cercavano tigri, che non hanno trovato, perché sono estinte, ma una delle migliaia di immagini catturate dai dispositivi ritraeva un coccodrillo, in montagna, dove non dovrebbero essercene.
È così, in un fiume montano nelle verdi e dense foreste del sud ovest della Cambogia è stato scoperta una popolazione di coccodrilli siamesi, scampati ad anni di persecuzioni, che tenevano tra le fauci spalancate al sole un briciolo rinsecchito di speranza per la loro intera specie.

Questa popolazione montana e il suo habitat è protetta da ranger armati, e viene studiata dai conservazionisti di FFI (Fauna and Flora International) che ne monitorano anche la situazione genetica (il problema delle piccole popolazioni isolate è che la variabilità genetica si riduce ad ogni stagione riproduttiva con possibili conseguenze negative, come succederebbe a degli umani che si sposano solo tra parenti di sangue per tanti anni) e una volta messo a punto un test genetico per distinguere gli ibridi dai puri un programma di riproduzione in cattività è stato messo a punto, dove i coccodrilli degli allevamenti commerciali vengono testati geneticamente e se puri vengono comprati (o spesso donati) e immessi nel programma e la loro prole viene liberata in natura fornendo DNA fresco alla popolazione selvatica.

Qui entriamo in gioco noi, istituendo un secondo programma di allevamento in cattività e una seconda popolazione selvatica dal lato opposto della Cambogia.
Ecco perché ci siamo trovati in un allevamento di coccodrilli, nel centro di Siem Reap che ospita più di quaranta mila esemplari dal DNA incerto. Il proprietario è stato felice di sbarazzarsi di 45 di loro, in cambio di una lauda somma di denaro. Il mercato cambogiano dei coccodrilli è in picchiata, schiacciato dalla concorrenza di allevamenti cinesi e vietnamiti, il prezzo del cibo per nutrirli è di poco inferiore del prezzo dell’animale alla vendita, che ora si aggira attorno a miseri 90 dollari americani. Per questo il proprietario ci ha invitato (costretto) a cenare al suo ristorante ed era più che felice di indicarci quali esemplari secondo lui erano “puri”.
Adesso quarantacinque di loro sono in un recinto con una profonda vasca di cemento e un prato con un piccolo canneto di bambù, i test hanno rivelato che il proprietario non mentiva, 43 su 45 esemplari sono C. Siamensis, gli altri due ibridi.

È così prima che il sole si faccia troppo alto ci apprestiamo a catturarli uno ad uno. Sarà una giornata lunga.
Siamo io, che mi trovo qui come al solito un po’ a caso, Giames l’inutile, Samnang, Cobraman, Pau&mao, un ragazzino spilungone a caso, il dottore non dottore e tre splendidi e grandiosi keepers, Phea, Vibol e Seyha.

Continua...