CROCODILE SUSHI ROLL Episode 4



Un numeroso gruppo di persone in tenuta mimetica ci attende, in questo momento e in questo stato l’ultima cosa che voglio fare è vedere altri esseri umani.
Appena la macchina si ferma salto giù e inizio a slegare le corde che assicurano i sushidrilli, “prima li liberiamo meglio è “ penso “per loro, per noi perDIOCOSAC’è” uno dei ranger mi chiama insistentemente, mi giro per rendermi conto della presenza di una telecamera e un’intera troupe televisiva. Merda.
L’inutile si è scordato di dirci che stanno realizzando un video-documentario e il rilascio sarà filmato, “perfetto, ciao” mi defilo in mezzo secondo, prendo il pacchetto di patatine e la lattina di soda mezza vuota dalla macchina e vado a piazzarmi sotto un albero a fare colazione. Le telecamere iniziano a filmare e i ranger belli freschi, energici nelle loro belle tenute mimetiche scaricano i coccodrilli e li trasportano nel recinto. Accarezzo l’idea che questa avventura (per non dire rottura di coglioni) stia volgendo al termine e che ci sia solo da raggiungere la foresteria in città per avere una doccia e del cibo caldo.
Ma come sempre, mi sbaglio.
I ranger sono belli e ottimi da filmare, ma non hanno idea di come liberare i coccodrilli. Per un attimo valuto l’idea di fare finta di nulla e lasciare fare tutto agli altri, ma il dito di Cobraman adesso è viola, e ha anche guidato tutta notte. Mi alzo e il mio culo sembra pesantissimo, raggiungo la riva dello stagno lanciando un occhiata d’odio al cameraman mentre estraggo il coltello dalla tasca e inizio a tagliare le fascette che sigillano l’involtino squamato.
Gli involtini vanno srotolati al 90%, il restante 10% va srotolato mentre qualcuno di noi gli zompa ancora una volta sulle spalle e gli immobilizza la testa, mentre io o Cobraman gli togliamo il nastro adesivo dalla bocca, a quel punto ci si allontana tutti, ultimo quello sulle sue spalle che salta all’indietro più veloce che può.
Qui il coccodrillo ha due scelte, cercare rifugio scivolando nella acque torbide oppure cercare di spaventare o attaccare gli ominidi che lo circondano. I coccodrilli normalmente preferiscono la terza scelta, fingere di essere una roccia e rimanere lì, immobili per molti minuti di seguito, con la bocca semi aperta. Questa è l’opzione meno apprezzata dalla troupe televisiva.
Capito il procedimento alcuni ranger iniziano a dare una mano e io mi siedo ad osservare il sesto coccodrillo che viene liberato. Riesco quasi a sentire i suoi pensieri, non appena l’umano che sedeva a cavalcioni sulla sua testa si allontana e gli occhi mettono a fuoco un paesaggio mai visto, senza muri, senza altri coccodrilli in vista, il cielo azzurro e gli alberi verdi intorno ad un canneto denso di acqua fresca e torbida. “ ma checcazzz…. Dove minchia sono?”. Per un animale nato e cresciuto in cattività deve essere bizzarro tornare in natura, come se tutte le caratteristiche e i comportamenti consolidati in milioni di anni di evoluzione finalmente avessero un senso, come se quel senso di inadeguatezza e disagio provato in cattività finalmente avesse una spiegazione. Ma molto probabilmente ha pensato solo “toh! Va’ che bell’acqua che c’è lì, aspetta un po’ che ci entro” con un accento romagnolo.
Tet mi si avvicina con la sua solita allegria “ciaraaaaaaa, long time no seee”, ha la divisa da ranger e sembra un figurino, tutto ordinato. Abbiamo lavorato assieme per quello che sembra un millennio anche se in realtà non era che qualche mese e altri giorni sporadici, abbiamo bevuto assieme più a lungo di quanto abbiamo lavorato assieme, quello è sicuro.
Non faccio a tempo a scambiarci due chiacchiere che Cobraman arriva con una domanda accompagnata da una pacca sulla spalla, “tet, un bambino di due anni potrebbe scavalcare quel recinto, perché pensi che possa contenere dei coccodrilli?”, Tet ride e comincia a snocciolare giustificazioni poco convincenti, a quanto pare è colpa della terra che, di sua spontanea iniziativa, ha fatto diventare il recinto da un metro e mezzo a ottanta centimetri. Speriamo solo che i coccodrilli non guardino in alto, l’inutile si avvicina avendo captato un frammento di conversazione, e temendo che la responsabilità di questo errore ricadesse su di lui si è intromesso per assicurarsi che qualunque accenno di responsabilità gli scivoli addosso come fosse coperto di olio di paraculo.
I coccodrilli sono tutti scomparsi nel canneto, chi velocemente chi sprofondando lento nel fango, ne manca solo uno, il più piccolo, ancora arrotolato nel suo bambù. A quanto pare, il grande capo che gestisce la riserva non si aspettava portassimo coccodrilli di queste dimensioni, e spinto da una sana (meh) competizione tra conservazionisti si era ripromesso di avere una foto di lui mentre rilascia una di queste adorabili bestiole. Faremo finta che tutto questo non abbia nulla a che fare con un servizio fotografico splendidamente riuscito che ritrae un collega di un altra organizzazione internazionale che si occupa di conservazione, e per coincidenza di liberare la stessa specie rarissima di coccodrilli nel sud della Cambogia, mentre tiene tra le braccia un coccodrillo poco prima del rilascio. Il coccodrillo in questione è un esemplare di poco più di un metro, il coccodrillo che giace ancora sushirollato è più de doppio e, causa di grande preoccupazione del grande capo, non penso sia molto incline a stare in posa per una foto. Ciononostante si attenderà l’ora dorata, quando i raggi del sole colpiscono il nostro pianeta a qualche ora prima del tramonto vibrando di rossi e vitalità, per ottenere il meglio dalla luce e di conseguenza uno scatto da copertina. Io non sarò qui per vederlo, ma rido già sapendo che, tra la poca esperienza nel maneggiare coccodrilli del grande capo, e le dimensioni del drillo incazzato, andrà tutto molto male.
Finalmente il nostro lavoro è finito, li vedo che discutono e si organizzano e indicano un’auto che ci riporterà alla nostra auto che ci riporterà al villaggio dove troveremo una doccia calda, un letto pulito e del cibo commestibile.
Mi trascino verso l’auto mentre questa viene prontamente riempita da svariati altri che, veloci come manguste infami ci si infilano dentro lasciando a me e Cobraman il retro pieno di corde e attrezzi. Ho voglia di bestemmiargli contro, se non fossi distrutta non mi peserebbe ma siamo a questo punto a 32 ore di lavoro filato e non pochi lividi sulle ginocchia e la mia voglia di essere sbatacchiata sul retro di un pick up prendendomi tutti i rami della foresta in faccia è pari a zero. Nonostante le mie silenziose rimostranze ci troviamo in piedi attaccati alla barra che corre sul tetto dell’abitacolo a schivare rami per quella che sembra un eternità, con le taniche che ci rotolano addosso e le corde che ci catturano le caviglie. La vista però è appagante, anche con questo sole battente la foresta decidua di dipterocarpi è affascinante, gli alberi nodosi e contorti circondati da erba alta e arbusti fitti.
Raggiungiamo la nostra auto e scompariamo dietro le portiere senza perdere tempo in convenevoli con le manguste, ci aspetta un bel po' di strada prima della agognata doccia fresca, se all’andata Cobraman temeva per la carrozzeria dell’auto del capo, ora avanza deciso mentre gli ammortizzatori ci sballottolano bruscamente e stridii sinistri ci annunciano che un nuovo graffio è andato ad abbellire il tettuccio.

“li vedi anche tu i coccodrilli per strada?” mi chiede Cobraman mentre stringe il volante saldo con le 8 dita che gli rimangono. “no” rispondo io, “sono tutti cani… ed è notte…” ho capito subito di cosa sta parlando. Sono gli ultimi 20 minuti di strada, ma sembrano 20 ore, e le allucinazioni da insonnia sono arrivate con svariate forme; i contorni degli oggetti vibrano ed emanano un’aurea simile a quella della luna, ombre nere scappano ai lati del campo visivo e tutto è molto scuro ma nitido come se qualcuno avesse ridipinto il mondo di due toni più scuro. Continuo a sobbalzare ogni volta che un cespuglio a lato della strada si trasforma in cane e si lancia sotto la nostra auto.
L’hotel non ha gli asciugamani e nemmeno l’acqua calda, fino a due ore fa non mi sarebbe importato, ora ho freddo e vorrei una vasca da bagno fumante, invece tremo sotto il soffione della doccia e il suo ridicolo rigagnolo di acqua gelida. Vorrei lavarmi i capelli ma con questa pressione avrei molto più successo infilando la testa nel cesso, che lo sciacquone me li sciacquerebbe in un attimo. Valuto l’idea, ridacchiando tra me e me.
Sono sul letto che mi domando se provare a dormire sia una buona idea, in questa zona la gente cena alle cinque di pomeriggio e dopo le sei è quasi impossibile trovare un ristorante aperto.
È il caso di decidere quale sia la priorità, se mangiare o dormire. La mia priorità è sempre mangiare, anche perché adesso non ho più sonno, chissà come stanno i crocchi là nella palude, però la vorrei una frittatona, che al massimo trovo dei noodle, se non ci mettessero quell’orrenda salsa dolciastra, quanto grande si possono fare i ravioli al vapore? C’è tipo un record del raviolo più grande al mondo? E il tortellino? Oddio come vorrei dei tortellini in brodo, non li fanno mai veg però, che sarebbero buonissimi con le erbette e il brodo tipo ramen, un ramen-tortello fusion fantastico da mangiare immersi nelle terme calde.
Mi accorgo che il treno dei miei pensieri è deragliato e non sembra intenzionato a portarmi a una conclusione logica, chiudo gli occhi e collasso.