Si può fare.

Si può fare.
Fisso il buco.
Sembra disabitato
Ma lo so che è qui.
Scelgo un rametto verde e lungo almeno 15 cm.
Lo infilo nel buco e inizio ad agitarlo piano.
Nulla.
Insisto andando più in profondità
Qualcosa lo strattona
Ritraggo la mano veloce.
No. Non è lui il predatore ora, sono io.

Mi accorgo che c'è un altro buco a meno di un metro da questo.
Non so se abbiano tane con più uscite oppure siano due diversi; per sicurezza tappo il secondo buco con un mattone, sarebbe da polli farsi sorprendere alle spalle.
Insisto con il rametto.
È scocciata e attacca ripetutamente il vegetale.
Lo ritraggo appena e lei avanza, non la vedo perché celata dal buio, ma la sento strattonare il rametto.
Mi ritraggo ancora, lei avanza.
Finalmente la luce bacia i suoi eleganti pedipalpi, un brivido mi percorre la schiena, sono elettrizzata da questo gioco.
Rimango accucciata intenta in questo tira e molla per parecchio tempo.
Il piano consiste nell'attirarla fuori dalla tana e bloccarla contro il terreno con la scatola per poi catturarla.
A volte attacca spavalda uscendo quasi tutta dal buco, la visione di quelle 8 grosse zampe nere e pelose mi provoca un fremito sotto la pelle, come se sotto la carne avessi una sottile rete di seta che ricopre tutto il corpo e viene percorsa da spasmodiche contrazioni.
Lo so, sono quasi innocui, nemmeno lontanamente aggressivi, ho visto i keeper prenderli in mano senza preoccuparsi, qui li allevano per friggerli.
Non è uno squalo e nemmeno un serpente velenoso.
Ma c'è qualcosa nel loro modo di muoversi, nel loro essere, che raggela il sangue.
Il cielo si sta scurendo ma i miei occhi non si stancano e anche con la poca luce posso distinguere nell'ombra i suoi movimenti.
Rimango immobile, accucciata con le mie ginocchia in bocca.
Muovo solo il dito quello che basta per far vibrare il rametto ed ella di conseguenza.
Potrebbero essere passate ore come minuti come anni.
Le gambe mi dolgono e formicolano e la voce del senno mi consiglia di lasciar perdere.
Un duello sfinente contro un avversario formidabile, non cederò, non ora.
D'improvviso mi sento come se alla fine di questo dovessi tornare in porto con una carcassa di marlin attaccata allo scafo.
Qualcuno passa e mi deride in khmer, o almeno questa è stata la traduzione della paranoia, non importa. Ridano, come hanno riso di Santiago.
Voglio così tanto catturare questa bestia che non ne so nemmeno il motivo.
Voglio farlo solo perchè mi fa una paura fottuta l'idea di farlo.
Persa nel vortice dei miei pensieri ho smesso di muovere il rametto, ed ella, convinta di aver vinto il suo avversario esce allo scoperto.
Il primo istinto è di ritrarre la mano, troppo vicina alle sue fauci, resisto e solo un fremito la percorre. Faccio scivolare leggera le dita spostando il rametto quel tanto che basta a farla uscire dal suo foro foderato di tela.
Uno scatto ancora ed ecco che la mia mano si chiude sopra di lei, tra noi, la plastica del contenitore.
Santiago sorride, ma sa che non è finita.
Io schiaccio la scatola sul suolo esultando.
Ella è dentro che si schiaccia e si gonfia, tastando con gli arti le pareti, cercando una via d'uscita.
Sospiro.
Mo come la chiudo dentro?
Giunge la coinquilina spagnola. Inizia a parlarmi ma non l'ascolto. Almeno ha portato la torcia.
Con il cuore che batte a mille sollevo appena il contenitore e ci faccio slittare il coperchio al di sotto.
Una ciuffo d'erba mi impedisce di chiudere la scatola, la belva infila uno dei suoi pelosi, grossi, osceni arti nello spazio che separa il terrore dal successo.
Inizio ad urlare a squarciagola lancio la scatola calpesto tutto cio che ho intorno senza guardare, spintono la spagnola a terra, che la bestia la sbrani dandomi il tempo di scappare.
Ferma.
Non esageriamo.
Reprimo istinti insensati.
Respiro.
Slitto la scatola quel tanto che basta da poterla chiudere con il coperchio.
È fatta.
Io sospiro e i sassi franano via dal petto, il sorriso mi si apre mentre stringo il mio contenitore porta schiscetta con la tarantola dentro.
Il vecchio santiago sorride
anche il merlin sorride.
La tarantola un po' meno.

Epilogo: ho portato la mia amica tarantola a Joel Sartore, per farla fotografare (per dettagli vedi post “la gara pigliamosche”) che è stato felice di fotografarla in tutta la sua bellezza. E senza smettere di sorridere l'ho riportata alla sua tana, prima di andarsene nel buco mi ha guardato con i suoi svariati occhi, riconoscendomi la vittoria di un match sofferto quanto sudato, ma la cosa importante è che ha vinto lo sport.