Impressioni a caldo

Una luminescente tranquillità per il futuro mi pervadeva l'animo mentre andavo a prendere l'aereo. L'eccitazione di un'avventura nuova mi fremeva dentro quando l'aereo è decollato.
Una serena felicità mi accompagnava verso il tramonto di nuvole arancio.
L'incostanza del dubbio mi tamburellava dietro al cranio mentre l'arancio si faceva oscurità.
Aspettavo interdetta il picco d'ansia, il momento di panico, i lacrimoni singhiozzati.
Nulla.
Mi sveglio raggomitolata sul sedile dell'aereo, la cabina è semi buia ad eccezione di qualche luce da lettura che cala dall'alto, un sussurrare quieto e il rumore ovattato dei motori.
Ecco. A questo punto dovrebbe prendermi il panico.
Stai volando a migliaia di km da casa, da sola per un sacco di tempo.
Nulla.
Prendo il diario che Ila mi ha lasciato, e inizio a scrivere:
“Sono le 22.02 del 19 ottobre 2017, a Milano.
Ma non qui.
Qui sono le ore 1.34 e siamo a 12 496 m sul livello del mare viaggiando a 883 km orari, stiamo sorvolando l'India, più o meno tra Gaya e Konark, a breve raggiungeremo il mar delle Andamane (tra India e Thailandia) e io sono una ritardata.
Nel senso vero del termine: necessito di più tempo degli altri per processare le informazioni e le emozioni.
Quindi arrivo in ritardo.
Sono uscita di casa da meno di 12 ore e ho compreso solo parzialmente dove sto andando e per quanto tempo. ”
Chiudo il diario.
C'era una scaletta da seguire, c'era l'esaltazione, l'energica speranza, l'eccitazione dell'avventura, la sensazione di smarrimento, il timore, il panico, la nostalgia.
Nulla.
Di tutto quello che è successo da quando sono scesa dall'aereo ad oggi ve ne ho parlato a spizzichi e bocconi, ed oggi, che sono passati esattamente 6 mesi da quando ho lasciato casa, una sensazione strana mi pervade.
È come se fossi partita ieri e fossi sempre stata qui contemporaneamente.
Attraverso il ponte di cemento che mi separa dal villaggio di M'pay a piedi scalzi. Le scarpe non le metto da giorni, tantomeno le ciabatte. I due cuccioli di cane che fanno la guardia al passaggio mi vengono in contro scodinzolanti, vorrei mostrarvi una loro foto, perchè sono magnifici, ma come sempre ho lasciato il telefono in stanza. Sempre che una baracca di lamiera e paglia si possa chiamare stanza.
Il mare si tinge di rosa emulando il cielo, entrambi calmi e pacifici come l'intero villaggio, ora che il capodanno è finito.
Sono in fase di assestamento.
Quando sono partita avevo dei piani, piani simili a quelli che perseguo ora.
Sta andando tutto spaventosamente liscio.
Ma ora che non sono più solo obbiettivi ma stabili futuri sono spaventosamente reali.
Rimango qui.
Sono fortunata, non tutti hanno la possibilità di realizzare i propri sogni.
Non che non ci sia voluta costanza, dedizione, sacrificio.
Fortuna. Senz'altro quella aiuta.
Anche non dare nulla per scontato. Aiuta.
Non ti aspettare mai nulla dagli altri, così non rimarrai mai deluso.
Non aspettarti mai nulla dalla vita, così tutto ciò che arriverà sarà una magnifica sorpresa.
Mi hanno sempre tacciato di pessimismo. Ma forse questo mio approccio mi ha aiutato a non farmi frenare dalle aspettative, che costruiscono castelli dalle fondamenta di sabbia.
Ora che il cielo è buio e le stelle si rispecchiano tra i flutti di plancton fluorescente mi immergo in quella calma che mi pervade prepotente, non lasciando spazio a null'altro.
6 mesi non sono tanti in fondo.
La parola grazie è scontata e buonista, meglio scriverla così; អរគុណ, a tutti quelli che mi hanno sostenuto, a chi lo farà e chi non l'ha mai fatto.
Non sono brava nel dipingere paesaggi, ma ho provato a farlo lo stesso.
Volevo rendervi partecipi del cielo che si fonde col mare, e del plancton che imita le stelle.
Ma poi due pesti sono arrivate urlanti, e da paesaggi brutti mi son messa a disegnare serpenti e gatti sotto richiesta dei due nani.
Menomale che almeno i nomi degli animali in khmer li ho imparati.