Millemila Km

Gufatto.
È ora di presentarvi il nuovo compagno di viaggio di Procione, causa del prolungato silenzio e dei millemila chilometri fatti negli ultimi giorni.

Per centinaia di anni l'intera umanità è stata vittima di un malinteso, scienziati e saggi compresi.
Ma procione non si fa ingannare.
Sa perfettamente che gufi e gatti sono il medesimo animale.
Gufatto è volato sino a qui da Albione; si è stufato di quei maledetti bevitori di tè e birra calda, denti storti e pettegolezzi Reali e ha detto “arrivedorci” a tutti quanti.


I primi giorni sono stati utili a razziare e depredare i ristoranti di Siem Reap, dopodiché siamo partiti alla conquista dell'est.



Andiamo sempre più ad Est:

Un autobus (con i letti) da 7 ore seguito da 4 ore di attesa in una saletta di Phnom Penh, e di nuovo un minivan di un ora per arrivare ad un bus che in 3 ore ci ha portato al confine, dove i nostri passaporti sono scomparsi per inquietanti 2 ore, quando sono riapparsi è iniziato il diluvio e altre 4 ore di bus ci hanno portato a Ho Chi Minh detta anche Saigon.


Saigon è un frullatore pieno di motorini strombazzanti, luci lampeggianti e odori stordenti.
Dall'alto della nostra tana si potevano contare 77 condizionatori sbuffare aria calda nell'atmosfera già satura del vicoletto sottostante.
Gatteggiamo in giro quel tanto che basta per rifocillarci di cibo e storia locale.


Tanto basta per odiare gli Americani e i Francesi.


Anche se i francesi li odiavamo già a sufficienza.



Una cabina stretta abbastanza da contenere 4 brandine su due piani ci ospita per le 18 ore che ci portano sino a Đà Nẵng. La cabina è occupata da un cafone locale che in più occasioni si dilungherà in telefonate rumorose e conversazioni fastidiose ad orari improponibili, ed da una anzianissima signora e quello che probabilmente è suo figlio, che la accudisce e massaggia con balsami e unguenti dormendo rannicchiato in un angolo della cuccetta che condividono.
L'anzianissima ha perennemente gli occhi puntati su di noi, su entrambi, da qualunque angolazione. Lo sguardo spiritato di chi è sia di qua che di là. Più di là che di qua.
Speriamo stia di qui per quel che basta a farci arrivare a destinazione.
(altrimenti avreste un capitolo probabilmente intitolato “Vecchicidio sul'oriente express” con una versione grassa e cafona di Poirot)






La nostra permanenza a Đà Nẵng dura quel tanto che basta a prendere un bus per Hội An.
Hội An è stata una pacchia. Se Ho Chi Minh è un frullatore Hội An è la macchinetta Nonna papera per la pasta fatta in casa.
A manovella.
I vicoli colorati di fiori rampicanti all'imbrunire si accendono di migliaia di lanterne colorate ( che “ti fanno partire lo shopping di lanterne compulsivo” (Cit. Diana Diona ) come non ne avevi mai sentito il bisogno).
Il fiume che scorre placido sotto i ponti cineseggianti è solcato da lunghe e silenziose barche a remi, mentre decine di lanterne galleggianti lo illuminano di piccoli fuochi fatui.





Abbiamo trovato un ristorante balconato dove Gufatto ha mangiato un “totano ripieno di maiale ripieno di gamberetti” che era parso un azzardo ma lo ha conquistato anima e cuore, dato che ne parla ancora oggi.
E ne parlerà ancora a lungo...
(lo immagino vecchio e demente che tra un delirio e l'altro urla ai nipoti “vi ho mai parlato del totano ripieno di maiale ripieno di gamberetti che mangia a Hội An mentre combattevo contro gli americani?” si sa che i vecchi le storie le condiscono sempre un po'...)


In sole 3 ore ci ritroviamo a Huế: il caldo torrido ci travolge spietato, se i giorni precedenti avevano dato un gran da fare alle nostre ghiandole sudoripare a Huế l'intero sistema cardiocircolatorio è messo a durissima prova, con lui anche lo stomaco.



Sulla via della Citadella imperiale ci rifugiamo dall'orribile calore (si, noi persone furbe usciamo sempre alle 12, così per evitare le ore più fresche. Ci fa schifo il fresco) al bar di una sciura che sordomuta ci ha regalato una delle comunicazioni più semplici incontrate sino ad ora in Vietnam. (un sacco di gente ti si avvicina e ti parla in Vietnamita. Bene. grazie.)





Sono le 6.30 di mattino quando un Bus ci viene a prendere per portarci al parco nazionale di Phong Nha (Ke Bang).
È asfaltata e divisa da un'aiuola ed è l'unica strada del villaggio dove alloggiamo, il nostro hotel è ancora in costruzione.
Oltre ad essere brutto.
A fianco ha un cantiere che gli ha praticamente murato le finestre.
Sull'altro fianco ha una piccola ricicleria di latta, dove un vecchio in mutande passa la giornata accucciato a schiacciare lattine con un martello.
'Nsomma una merda.
Ma la famiglia che lo gestisce è così tenera che non posso essere insoddisfatta della nostra permanenza lì.
Hanno una bambina di circa 3 anni (seppur nanissima) che ti canta una serie di canzoncine corredate da balletto mentre fai colazione, e una gatta tutta nera molestissima, si accoccola addosso e ti morde se cerchi di spostarla.
Il panorama è assurdo, montagne dalle forme bizzarre e improbabili, che se la linea dell'orizzonte fosse un tracciato dell'otto-volante sarebbe vomitino assicurato.




Scalinate infinite portano in cima a queste montagne, dove fradici di sudore ci avventuriamo nei chilometri di grotte che le forano, riempiendole di formazioni calcaree dalle più svariate forme.



A pochi chilometri da noi si trova la grotta più grande al mondo, visitabile alla modica cifra di 3000 dollari (maybe later?), anche se pare che ne abbiano appena scoperta una a fianco, ancora più grande.








Sono le 21.30 l'autobus notturno che dovrebbe portarci a Hanoi è in ritardo...

Millemila Km Parte secoda



Sono le 21.30 l'autobus notturno che dovrebbe portarci a Hanoi è in ritardo.
Insieme a noi ad attenderlo ci sono altri viaggiatori nella hall dell'hotel di merda, e ovviamente c'è anche la trappolina che instancabile, scegliendo i brani dal telefono, ci mostra quanto è brava a ballare.
Appena salita sul bus mi rendo conto di quanto sarà un viaggio di merda:
Le lucine colorate e le forme da astronave non ingannano se non per un solo istante, il bus è fornito di tre file di poltrone-letto, poste su due piani.
Poltrone-letto significa sedili reclinabili con una forma che potrebbe sembrare ergonomica se questa parola avesse un qualsivoglia significato per il decerebrato che le ha fatte.
In qualsiasi posizione sono scomodissime.
Senza contare che chi è più alto di un metro e quaranta deve incastrare i piedi in quel “buco” tattico che dovrebbe (secondo loro ) servire a mettere un'eventuale borsa/zaino.
Due piani di questi obbrobri, con le più basse ad altezza piedi, probabilmente le più comode, se non che chiunque salga o scenda ti cammina in faccia (all'ingresso nel bus sei fornito di un sacchettino dove porre le tue scarpe, per poi infilarle anch'esse nel buco).
Le 3 file.
3 file.
Una attaccata ai finestrini di destra, una attaccata ai finestrini di sinistra. Una in centro.
Separate da corridoi.
Senza alcuna sponda sulla quale fare affidamento per non ribaltarsi alla prima curva.
Chiudo gli occhi e immagino il processo di progettazione di questa astronavicella da teste di cazzo.
Lo immagino con la sua pennina indugiare sul progetto cartaceo, immagino di afferrargli la testa e sbatterla ripetutamente sul tecnigrafo sino a che con la sua pennina conficcata nel naso non fosse stato in grado di fare un progetto non decente, perlomeno sensato.
Ovviamente io sono nella fila centrale, al primo posto, in alto.
Quello che se il bus inchioda parto come un proiettile e sfondo il parabrezza con tutta la ergonomicazzopoltrona.
Se quest'apoteosi della scomodità e del disagio non bastasse l'autista guida come un trafficante messicano inseguito dalla polizia di frontiera.
Solo che lo fa con i gomiti.
Perchè con le mani sta selezionando da tre ore il video di Vietnam's got talent che non trova, e per capire che non è quello che sta cercando ci fa sucare a tutti i 2 minuti di sigla e presentazione in vietnamita da una presentatrice con una voce squillante quanto disarmonica. Per poi cambiare ai primi 30 secondi di canzone.
Questo per gran parte della notte.
Se in Cambogia guidano ad una velocità costante con regola generale di precedenza relazionata alla mole del veicolo, in Vietnam applicano la suddetta regola duplicando la velocità (anche perchè hanno strade meglio asfaltate).
Se in Cambogia suonare il clacson serve per segnalare la propria presenza ed essere sicuri che chi stiamo sorpassando ci senta arrivare, in Vietnam il clacson lo usano per avvertire che stanno facendo una manovra di merda. Ad esempio arrivare a velocità spedita senza intenzione alcuna di rallentare, superando a destra un camion pieno di legna senza guardare chi arriva. Ecco, a circa 2/3 di questa manovra iniziano a suonare il clacson.
Così per dire eh.
Solo il fatto che la velocità del suono è inferiore a quella della luce dovrebbe rendere il “guardare” prima di far qualcosa più comodo del “suonare” mentre la si sta già facendo.
E così cerco di gestire la nausea, trovare una posizione comoda, non cadere dalla ergonomicazzoltrona, non guardare la morte imminente che sfreccia lungo la corsia di destra, ignorare i miagolii della presentatrice di Xfactor Vietnam e magari dormire anche un pochino. Visto che ridendo e scherzando sono ormai le 3.40 del mattino.

Ridendo e scherzando un cazzo.


H 3.45 il contrabbandiere messicano ferma il bus in mezzo al nulla. Un nulla che mi rendo conto presto essere un benzinaio/gommista.

Abbiamo forato.



Per assurdo forare nel bel mezzo del nulla totale è stato un sollievo; scendere da quell'astronave del vomito e passare una mezzora in una posizione umana (quella verticale) non in movimento è stato rigenerante.
Veloci ed efficienti (sorprendentemente) cambiando la ruota, tra un tiro di pipa e l'altro, risaliamo sull'astro-schifo e ripartiamo, riesco a dormire quel tanto che basta per scordarmi della nausea e per le 6 del mattino siamo ad Hanoi.


Hanoi.
Ad Hanoi abbiamo deciso che no.
Per quanto la cucina vietnamita ci abbia sorpreso, sia per la sua varietà che per la sua bontà ad Hanoi abbiamo deciso che volevamo una pasta.
Così abbiamo affittato una casetta invece di andare in ostello o in albergo.
Una casetta che per una inimmaginata botta di culo era a 5 minuti da dove l'autobus ci ha lasciato. Felici e sfiniti ci incamminiamo senza poter però controllare se il padrone di casa ci avesse risposto al quesito basilare: “possiamo entrare in casa alle 7 del mattino?”
Ci troviamo a seguire le indicazioni che ci ha spedito, il palazzo è quello giusto, la porta pure, il lucchetto con la combinazione corrisponde. Ma non la combinazione.
Proviamo un paio di minuti e poi decidiamo di andare a fare colazione cercando un posto fornito di wifi.
Il sito attraverso il quale abbiamo prenotato fa da intermediario tra te e il padrone di casa, ciò significa che ci mette del tempo a trasmettere i messaggi e tu ci metti del tempo a ricevere le risposte.
Appena mi collego al wi-fi ricevo la risposta “potete entrare alle 15.00 , non prima, ci sono altri ospiti”.
Un coagulo di bestemmie e di stanchezza mi strozza una vena del cervello.
Siamo seduti in un ristorante che serve zuppe (colazione Vietnamita) sono le 7 del mattino e ho sonno e voglio farmi una doccia. E devo aspettare fino alle fottute 3 del pomeriggio.
Gufatto non si preoccupa.
Lui mangia un Pho al manzo.
Io voglio collassare sul tavolo piangendo.
Anche perchè ho ordinato un succo d'ananas e mi hanno portato una noce di cocco.
A me fa cagare il latte di cocco (ma lo sai quanto fa bene?)
Decidiamo di andare alla stazione a mettere gli zaini in un deposito con lucchetto e iniziare a visitare la città.
La stazione è a 30 minuti a piedi.
Non è che solo perchè il mio zaino grosso pesa 18kg (o 13 dipende dalle bilance) io non possa fare un pezzo a piedi. Giammai.
È solo che sono in giro da 7 mesi, da 2 mesi cambio posto ogni 2 giorni circa. Che nemmeno un ricercato dalla CIA si sposta così tanto.
Mi faccio forza della forza di Gufatto e mi trascino fino alla stazione. Entriamo cercando gli armadietti a gettoni, abbiamo letto che anche quando questo servizio non è fornito gli impiegati della stazione affittano abusivamente i propri. Quindi siamo fiduciosi che qualcosa troveremo. (avviso gufatto che in caso contrario il mio piano è di trovare un parco fresco e collassare abbracciando i miei bagagli)
Un rumore violento di vetri rotti, precipitano a grossi pezzi mentre l'uomo grassoccio scende le scale in fretta sfuggendovi. “Lockers?” punta il dito verso di noi ignorando completamente la cascata dietro di se.
Un cenno con la testa lo convince a indicarci la strada mentre con un gesto della mano rimuove pezzi di vetro dai capelli come fosse forfora. Gli andiamo dietro con dei grossi BOH tatuati sulla faccia.

Sistemati i bagagli decidiamo di visitare il tempio della letteratura, ci prendiamo l'audio guida e complice la stanchezza ridiamo ad ogni cortile e padiglione.



Nel Vietnam del nord ci sarebbero state molte cose interessanti da fare; visitare Ha long Bay, i parchi nazionali e i centri di recupero per la fauna.
Ma decidiamo di non fare nulla di tutto ciò, semplicemente gironzolare per musei e ristoranti e dormire.
Recuperati i bagagli ci avventuriamo verso la casa, è mezzogiorno passato e il sole picchia che Sakara in confronto è una ballerina.


Arrivati nuovamente al palazzo rifacciamo i 5 piani di scale (di cui l'alzata era 1/5 della pedata), la porta è composta da una grata scorrevole chiusa da un lucchetto con combinazione numerica, e una porta di legno all'interno senza alcuna serratura.
Riusciamo dopo svariati tentativi e imprecazioni ad aprire la porta, (sarebbe stato tutto più facile se il lucchetto non fosse stato all'interno, raggiungibile solo assumendo posizioni improbabili e avendo le mani piccole come un fottuto asiatico).
I giorni successivi sono stati utili a riprendere le forze e riempire le pance di varie paste al sugo da noi preparate.
Visitare qualche tempio e museo, come il museo delle donne del Vietnam e permetterci di prepararci per la prossima avventura...
Continua....