Il Pub


Vivere e lavorare nello stesso posto può essere un disastro, certo, vallo a spiegare ai pendolari che regalano metà della propria vita alle Trenord, o peggio.
Sempre che ci sia peggio delle Trenord.
Ma almeno quando esci da lavoro e passi i tuoi 10-20-30 minuti aspettando treni o bus o quant'altro hai tempo di depressurizzare.
Ti incazzi, rassegni, ipotizzi, rosichi e per quando sei a casa hai già la testa altrove, che il lavoro è lontano e il capo può andarsene affanculo.
Qui no.
Ogni mattina il puntello è alle 7 spaccate se non prima, e da camera mia sono letteralmente 25 passi, 29 se passo in bagno prima.
È facile portarsi a casa il lavoro, impossibile non farlo.
Sopratutto perchè i miei coinquilini umani lavorano con me.
E allora le frustrazione, le noie, i dispetti, le beghe, sono tutti pronti li ad aspettarti tra il divano pulcioso e la cucina.
Ma c'è un rimedio.
Il pub.
Pub è un nome lusinghiero; lo chiamiamo pub anche se è una baracca in legno e lamiera, ma servono birra e la gente ci va a bere.
Quindi è un pub.
L'ha scoperto l'inglese, ovviamente. Non sapevo della sua esistenza prima, è sempre stato lì ma non mi sono mai soffermata a pensare che quella baracca potesse essere considerata un pub.
In inglese pub è l'abbreviazione di Public house, casa pubblica, chiamata anche free house.
In cambogiano non so come lo chiamano, forse non lo chiamano, ma ogni tanto per staccare dopo lavoro prendiamo la macchina o la moto, guidiamo attraverso la riserva e superato il cancello sul retro facciamo quel paio di chilometri di buche circondate di asfalto per arrivarci.
Il proprietario ci accoglie caloroso. Caloroso perchè felici di vederci ma caloroso anche perché spesso è in mutande, o con l'asciugamano alla cinta come girano spesso gli uomini.
Ci sono gli habitué, tutti uomini, che bevono attorno al tavolo scommettendo sugli incontri di thai boxe alla tv o sui combattimenti tra galli.
In Cambogia sono illegali i combattimenti tra animali, ma la tv thailandese li trasmette e agli uomini basta e avanza. Li vedi confabulare e imprecare quando il loro uomo/gallo perde, e scambiarsi gli spiccioli tra loro alla fine di ogni incontro.
Bevono birra e ci guardano con occhi curiosi.
Ogni tanto becchiamo qualcuno dei nostri, giardinieri o costruttori, che accennano qualche parola mal masticata di inglese e provano a offrirci da bere, anche se alla fine facciamo di tutto per pagare noi. Come Mister He, il più vecchio dei dipendenti, che mi sa che ci ha lasciato qualche rotella durante la guerra. Ma lui sorride sempre, senza capire molto.
Stasera siamo passati a prendere Tet. Tet è il capo dei costruttori, nonché fratello maggiore tra i nostri colleghi della famiglia Tia, che vuol dire papera. Abbiamo tre componenti della famiglia papera tra noi; Tet tia, appena citato; buon amico, gran lavoratore e sveglio quanto basta da parlare un buon inglese, è ricco di vocaboli e abile nel comprendere. Ma non si capisce un cazzo quando parla.
Lo prendiamo in giro un sacco perchè ha chiamato il suo ultimo figlio Simen, che detto da lui suona come cement, cemento. Il prossimo lo chiami mattone?
La seconda per età è Sreymao, o solo Mao. Mao vuol dire “dalla pelle scura” quindi il nome completo (+ srey, che vuol dire “ragazza” ) è ragazza papera dalla pelle scura. Spesso ridiamo del fatto che quando è nata i suoi l'hanno guardata dicendosi, “bah , è piuttosto scura. Chiamala Bruna che ci risparmiamo lo sbatti “ un po' come deve essere successo ai miei per il mio nome (chiara). Mao è la nostra keeper più promettente, seria affidabile e con un innato senso della giustizia. Io e lei ci occupiamo dei cuccioli e degli allattamenti assieme.
La terza e più giovane dei fratelli papera è Dani, Dani è una giardiniera, e si occupa delle pulizie e di cucinare per lo staff, è nata con una grossa voglia scura che le divide la faccia a metà e al contrario della maggior parte delle ragazze Khmer non le frega nulla di ragazzi e creme sbiancanti e begli abiti e belle scarpe. Mentre ero ospite a casa Papera, al loro villaggio natio, loro madre mi disse, “ tu non sei come Mao, tu sei più come Dani” e per quanto mi piaccia Mao, lo considero un complimento. Dani spesso siede in silenzio, ascoltando un podcast di insegnamenti buddisti, non la vedi spesso arrabbiata o felice, è perchè non si fa sconvolgere dalle emozioni terrene, dice sua sorella.

Ma torniamo a Tet. Siamo seduti nel pub, io Tet e Cobraman; io ho in braccio un cucciolo di cane che ho prontamente sequestrato al figlioletto del proprietario al mio arrivo, per coccolarmelo e spupacchiarmelo mentre bevo la mia birra (non me lo sono goduto nemmeno per 3 minuti che la figlioletta di un anno e mezzo del proprietario è arrivata a reclamarlo con la faccia imbronciata). Parliamo del vero nome di Cobraman, che dal latino significa “devoto al dio Marte”. Tet annuisce mentre gli spiego del Dio Marte, aspetta che io finisca per chiedermi; “che vuol dire “Dio”? “
Bella domanda.
Mo come glielo spiego?
Ma soprattutto, io che ne so?
“Beh... nei nostri paesi d'origine, alcune persone credono che ci sia un... qualcuno.. entità... che ha creato tutto e tutti e che.. ci osserva..”
La mia mente si apre alla rivelazione che, no, Tet non ha idea di cosa sia un Dio.
Non ne parlano nelle scuole, non lo dice la tv, nessun nonno che ti rimprovera da piccolo dicendoti che lui ti guarda e che ti punirà. Hanno leggende su antiche divinità, forse più uomini e donne o animali con superpoteri che Dei, al limite tra favole e realtà, quel tipo di limite di cui non ti chiedi dove inizia e dove finisce, perchè, che importanza ha in fondo?
Cobraman mi viene in soccorso “ molte persone lo venerano e vanno in chiesa, che è come una pagoda, e fanno offerte e pregano … “
Tet s'illumina ; “ ah ! Ho capito, Buddha! “
No. Ma facciamo finta che si.
“ora nel mio paese la gente pensa che ci sia un solo Dio, unico, ma in passato ce n'erano tanti, il Dio dei campi e del raccolto, quello del fuoco, e quello della guerra..”
Tet scoppia a ridere, sbiascica qualcosa di incomprensibile che lo costringiamo a ripetere
“ in your country you have buddha but with the gun?”
(nel tuo paese avete Buddha ma con la pistola?)

Vabbeh lasciamo perdere va'