fancy chicken – pollo alla moda



A volte il cielo si smonta in pezzetti e precipita da altissime nuvole sotto forma di gocce, tutte insieme e così tante che se stessi immersa in una vasca d'acqua sarei più asciutta.
Aspetto con il mio piatto di verdure colorate grattuggiate fini fini; giallo zucca, verde cetriolo e arancio carota. Tutte disposte in mucchietti alternati ad incorniciare 36 croccantini per gatti gonfi d'acqua. È il cibo dei polli fashion (fancy chicken) come li chiamiamo, non sembrano polli, non sono nemmeno della stessa famiglia. A dire la verità ne abbiamo 6, di cui due ancora sotto forma di uovo.
Stamattina uno di quelli di forma ovale ha deciso di diventare a forma di pollo.
S'è schiuso.
Ma questa è un'altra storia.
Questa è la storia di me che aspetto che spiova, per andare a portare il piatto di verdure multicolor ai due polli adolescenti.
I suddetti polli sono di una specie molto rara, praticamente estinta, si chiama Houbaropsis bengalensis per gli amici Florican del bengala, vive in larghe e poco frequentate praterie e visto che le praterie vengono convertite a ritmo accelerato in risaie e monoculture abbiamo avviato un programma di raccolta delle uova per salvare la specie.
Dalle uova raccolte sino ad ora si sono schiusi 3 polletti, con quello di stamattina 4. la madre dei simpatici polletti, in natura passa il giorno a cacciare insetti ed infilarglieli in bocca; grilli, cavallette, vermi, bagharozzi vari.
La suddetta madre è ancora nella prateria a chiedersi dove minchia a messo l'uovo che ha deposto.
Qui invece ci sto io che come una deficiente corro avanti e indietro per nutrire i suoi polletti 8 volte al giorno.
3 grilli alla volta.
Più un pezzettino di foglia.
Ma stavolta i polletti che mi appresto a nutrire sono cresciutelli, stanno mettendo le piume e fanno svolazzi dagli atterraggi sgraziati, mangiano le verdure da soli e le crocchette per gatti gli forniscono la percentuale di proteine mancante.
Ma piove.
È stagione delle piogge, è normale che piova.
Il recinto dei florican è composto di due parti, una all'aperto e attraverso una porticina si accede alla parte interna, protetta dalla scrosciante pioggia e dal vento.
Immagino, essendo una persona positiva che i miei amici polli si siano riparati nella parte coperta.
Un flashback di Pancake (nome di uno dei due, così chiamato perchè è il primo ed è un po' storpietto; come le crepes che la prima viene sempre male) che cerca per una mezz'ora buona di mangiare una roccia grande tre volte la sua testa mi fa venire in mente che no, non sono così intelligenti. Probabilmente sono rannicchiati sotto la pioggia a pochi centimetri dall'apertura che li porterebbe ad una stanza asciutta e calda.
Sicuramente sono sotto la pioggia.
Sospiro e decido di avviarmi comunque.
È un animale selvatico, che problema c'è se si bagna?
Verissimo.
Ma quando si tiene un animale in cattività si è responsabili di ogni aspetto del loro benessere. Anche quelli che non sarebbero un problema in natura.
E a loro discolpa, in natura, la madre aprirebbe le ali ad ombrello per non farli bagnare.
In questo caso, la madre pollo devo farla io.
Mannaggia a me.
Mi avvio coprendo il piatto di verdure con la maglietta, non è lontano, saranno 200 metri di una stradina di mattoni rossi che ormai è una lunga pozzanghera.
Mi arrampico per raggiungere la porta della gabbia che sono fradicia, salto dentro e senza stupore mi accorgo che non ci sono.
Come previsto sono fuori.
Sotto il diluvio.
Fuori.
Idioti.
Li chiamo.
Non vengono.
Li richiamo.
La pioggia copre ogni rumore.
Merda.
Per accedere alla parte esterna da quella interna bisogna passare per una porticina a ghigliottina, dalla quale, se volessi, ma volessi volessi proprio tanto, potrei passare, impanandomi come una cotoletta nella sabbia.
Ma no.
Risalgo la scala e sono fuori sotto la pioggia, scendo la rampa faccio il giro della gabbia e mi arrampico sulla scala a pioli che traballa nel fango, mi aggrappo alla porta e la apro. Salto nel recinto sprofondando nella sabbia bagnata.
Loro sono lì, seduti sulla sabbia bagnata con gli occhietti strabuzzati e le piume appiccicate alla testa.
Piiiii mi urlano appena realizzano che sono io; si alzano sulle lunghe zampette e mi corrono in contro con i loro piedini a quattro dita che sprofondano nella poltiglia sabbiosa.
Mi stupisco ancora una volta della demenziale innocenza di questi animali. Ne afferro uno tra le mani e lo spingo dentro la porticina mentre l'altro mi si avvicina e comincia a beccarmi le dita dei piedi.
Sospingo il secondo dentro la porta e faccio per chiuderla sperando in cuor mio che il gancio si stacchi e la faccia scorrere fino a terra.
Ovviamente no.
L'unico modo per chiuderla è tornare dall'altra parte.
Mi avvio verso la scala, sono all'ultimo piolo quando un “piiiiiiiiiiiiii” proveniente da sotto i miei piedi mi blocca.
Sono entrambi alla base della scala che mi guardano con i loro occhietti ebeti “piiiii?” esclamano mentre goccioloni gli cadono sui corpicini fradici.
Alzo gli occhi al cielo trattenendo imprecazioni.
Riscendo, ricaccio entrambi nel buco-porta, strattono la porta facendola scendere di metà, ri-balzo sulla scala, scavalco il muro, chiudo la porta, scendo dall'altra scala. Non faccio in tempo a mettere un piede in quello che ormai è un ruscello scrosciante che sento un flebile “piiiiii” venire dall'altra parte del muro.
Mi blocco, mentre litri d'acqua scorrono dall'apice della mia testa fino alla punta dei miei piedi.
“Che si fotta!” sbraita collerico l'omino del cervello.
Rido e mi incammino su per la rampa, entro nella gabbia e trovo Banana (la seconda nata) lì, pulcino bagnato dai piedi primitivi che mi guarda curiosa.
Poco lontano vedo la porticina, calata per metà e due piedini primitivi dall'altra parte, incapaci di capire che se il collo si flettesse potrebbero passare anche loro.
Sollevo la porta e Pancake sobbalza sorpreso.
Non si aspettava di vedermi qui.
Ve l ho già detto che non sono tanto intelligenti?
Non senza pigolanti lamentele riesco a infilarli entrambi nel cestino. Sono bagnati fradici e devo riportarli alla nursery dove posso asciugarli e tenerli al caldo.
Qui inizia il bello;
Siamo io, il piatto con le verdurine colorate, due polli preistorici in un cestino e un sacco di plastica che in un impeto da McGuyver ho squarciato per ricavarne un riparo dalla pioggia.
Io e i polli siamo già bagnati, le uniche che devono salvarsi sono le verdurine.
Non ho nessuna voglia di grattuggiarne altre.
Siamo pronti; verdurine in bilico sul cestino, polli altalenanti all'interno del suddetto, sacco di riso in testa a mo di mantello del ku klux klan e si parte.
La stradina di mattoni rossi è un torrente in piena, scorre in direzione opposta alla mia e la terra rossa la tinge di opaco tanto che inciampo un paio di volte nel bordo ornamentale in mattoni.
Maledetti voi e chi bada all'estetica.
Sono quasi all'altezza del pozzo che mi fermo, quello che prima era un ponticello che superava un canaletto di scolo ora è una grande agitata pozzanghera marrone, avanzo a tentoni cercando le assi del ponte, la piccola salita che segue gronda d'acqua tra le radici del gigantesco ficus, l'acqua supera di poco le caviglie e la corrente è così forte che una delle mie infradito prende il largo salutandomi mentre surfa sulle rapide.
Ciao eh.
Proseguo sentendo la ghiaia sotto il mio piede, arrivo al cancello e cerco di aprirlo usando la terza mano che non ho; mollo il sacchetto o le verdurine?
Le verdurine giammai!
Faccio scivolare il cestino al gomito, così da usare la mano per tenere il sacchettone di plastica che ci protegge dal torrente in piena che casca del cielo, piazzo le verdurine in bilico sul cestino e con la mano appena liberata apro il cancello.
Sono dentro ma non al riparo, avanzo verso il secondo cancello mentre il piede ciabattato mi sprofonda nella sabbia, lo sollevo a fatica, la plastica cedevole tra l'alluce e l'illice, la seconda e ultima ciabatta si rompe sciabattando invano nel fango e finendo per essere scalciata via in un impeto di rabbia.






Non demordo.
Raggiunto il secondo cancello lo apro con maestria, imprecando un paio di volte contro il chiavistello arrugginito. Avanzo a piedi scalzi sulla ghiaia appuntita sono quasi giunta a destinazione.
Lo scalino di cemento mi guarda maligno,
con una mossa infame attacca il mio alluce catapultando me, il cestino dei polli, il sacchetto ku klux klan e le verdurine verso il pavimento di piastrelle.
Agile come un gatto ubriaco lascio il sacchetto e afferro a due mani il cestino dei polli.
I polli sono salvi seppur bagnati.
Le verdurine no.
Giacciono spatasciate su tutto il pavimento, dipingendo di giallo zucca, verde cetriolo e arancio carota le piastrelle rosse.
Noooo le verdurine nooooo
Scalino infame per te solo le lame.