Battitori del Mekong


È accucciata e l'acqua le sfiora il sedere, con un cucchiaino di plastica si porta alla bocca piccoli sorsi di acqua del Mekong.
Gli altri gareggiano con taniche tagliate attaccate ad una corda, sfreccianti velieri che solcano le onde tra le grida di incitamento.
Un ritmato battere metallico e il frusciare delle onde.
-cosa stanno facendo?-
-cercano di aggiustare il motore- Mi risponde Thol.
Il mio sguardo dubbioso si posa sui tre uomini, di cui uno é il mio collega, che stanno battendo con pezzi di ferro il grosso motore scoperto della barca.
- potrebbe funzionare con una mucca, ma non credo che il motore si convincerà a camminare solo perché lo batti...-
Thol ride.
Il metodo rimane quello.
Siamo stati a far visita ad un paio di villaggi a nord di Stung treng.
Raggiungere questi posti durante la stagione delle piogge significa guidare per un buon tratto su una statale asfaltata, per poi a uno dei due incroci esistenti, girare imboccando una strada che dapprima perde l'asfalto nel diventare sterrata, poi perde la terra e diventa sabbiosa (sabbiata a sto punto).
Sabbia che prontamente quando piove diventa poltiglia.
Se la sabbia è asciutta scivoli e sculi che è un piacere, se è bagnata senti la moto affannarsi rumorosamente nel guadagnare quei pochi metri alla volta. Quando la sabbia finisce arriva il fango argilloso, scavato in grossi solchi dai trattori e dalle mucche meccaniche (sono motrici con attaccate cose varie, come carretti, rimorchi, case etc) che lasciano voragini e creste in cui le sottili ruote della moto si inerpicano.
A volte la strada semplicemente scompare, degradando lenta in un liquido nulla.
E qui ci si ferma a contemplare il lago che la mattina stessa non c'era.
Quando va bene e l'acqua è limpida la attraversiamo sperando che non diventi troppo fonda, e i nostri miracolosi motorini si fingono motoscafi spinti dalle preghiere di chi li guida.
Quando non va bene l'acqua è scura, di un rosso pantano o di un marrone sciaquerella, è necessaria la prova della chiappa.
Di solito ad immergersi è il mio collega Thol, che per la sua privacy continueremo a chiamarlo Thol, perché è così epico che merita di essere citato col suo vero nome.
La prova della chiappa consiste nel camminare nell'acqua torbida e arrivare dall'altra parte, tastando con i piedi possibili buchi o massi.

Se l'acqua non tocca il culo vuol dire che si può fare.
Attenzione al portafoglio in tasca.
Il cellulare non è un problema, è sempre in mano a filmare, casomai qualcosa di buffo accada.


E cosí aspettiamo, guardando il sole che si congeda tiepido verso il confine.
Non siamo in un vero villaggio, qui durante la stagione secca non arriva il fiume, infatti a 20-30 metri dalla riva ci sono dei grossi alberi che spuntano dall'acqua con la noncuranza di chi finge di non essere in mezzo ad un fiume.
Sono case di pesca temporanee accampate ai lati di una strada che probabilmente durante la stagione secca non finisce dritta nel Seikong.
Li vedo che confabulano e chiamano e battono e fumano e ridono.
Ma la barca non parte.
Una piroga sfreccia contrastando la corrente, ci raggiunge con affanno sbarcando il "meccanico".
L'uomo è una ruga ambulante, grinzoso che sembra indossare la vecchia pelle di uno grosso il doppio di lui.
Si appollaia sul bordo della barca circondato dagli sguardi della combriccola di battitori di motori.
Afferra con decisione il pezzo in questione, lo rigira tra le sue sagge e rugose dita e con lo stesso sguardo metodico di un gatto che spinge oggetti giù da un tavolo, lo lascia cadere sul fondo della barca.
Alza lo sguardo e sentenzia in Khmer.
Tutti si guardano e annuiscono, il saggio ha parlato.
"Thol... Che ha detto?"
"ha detto..." Thol guarda lontano cercando le parole giuste per tradurre, "ha detto che è rotto".
EGRAZIEALCAZZO
Mi verrebbe anche da dire.
Lo osservo, l'esperto sta battendo con una chiave inglese sul motore, dapprima come un esperto che sonda la stagionatura di una forma di grana, poco dopo come un bambino a cui hanno appena regalato il suo primo tamburello.
Non ci siamo.
Torno a sedermi sulla riva, guardo i bimbi che giocano nell'acqua, intaglio una barchetta con la vela di foglia banano e la spingo tra le onde.
La bambina che ormai ha finito il suo aperitivo a base di acqua di fiume le corre dietro, la raccoglie e se la porta via, come fosse la pepita d'oro che gli altri bambini non le ruberanno.
Le acque del fiume si fanno scure, le forme degli alberi minacciose.

Son 2 giorni che siamo in giro, dormendo in amaca e mangiando riso.
Il disco arancio si va a nascondere dietro alle ultime nubi sopra l'orizzonte.
E so che per oggi non lo rivedrò.
Un rombare lontano si perde nello scialacquio del fiume. Il buio è totale e eccetto le 4 lampadine fioche che illuminano le baracche e i focolari su cui borbottano le pentole di riso nessuna luce rischiara la notte.
Resto seduta sulla mia moto, chiedendomi se a sto punto non è meglio trovare un angolo dove accamparci, ma il cielo minaccia pioggia e non abbiamo con noi i teloni impermeabili.
Il rombare si fa più vicino. Forse una barca in arrivo.
Ho smesso di fare domande su quello che ci aspetta da ore ormai.
Un po' perché il sud est asiatico ti addestra brutale ad infinite attese, risposte mancate, ritardi indicibili e lande desolate.
Un po' perché è come chi ti chiede "cosa succede adesso" mentre state guardando un film assieme.
Cosa me lo chiedi a fare se lo stai per scoprire?
Quindi aspetto, aspetto un colpo di scena, la svolta nella trama, l'inizio di una nuova avventura.
Magari tutte e tre le cose sotto forma di barca.
Una faro illumina la notte e pare avvicinarsi.
Mi balza in mente prepotente spintonando via la fame la barzelletta che mi ha raccontato mille volte mio padre, quella della nave da guerra e del signor gigi.
Scoppio a ridere fragorosamente (da piccola dicevo sempre fragolosamente, ma in effetti le fragole non ridono)
I miei colleghi si girano a guardarmi, ridono anche loro, ormai ci sono abituati al fatto che parlo/rido/impreco tra me e me molto spesso.
Il faro si fa più vicino, abbastanza da essere riconosciuto come una barca del tutto simile alla nostra, ma funzionante.
L'imbarcazione di legno attracca sulla nuda riva, un passerella si ribalta e cominciano a scendere uomini donne bambini cani motorini pacchi pacchetti sacchetti di foglie e di plastica.
Finita la marea in stile macchina dei clown ci apprestiamo a salire, percorro la passerella ripida nel buio, la moto che illumina in fronte a me ma non sotto, tanto che è solo lo scricchiolare del legno a guidarmi. La prua della barca è più alta rispetto al ponte, e qui che si scende dalla moto e facendo perno sul cavalletto la si fa ruotare di 180° per poi procedere in retro e sistemarla di traverso davanti al motore (la barca sarà larga se è tanto un paio di metri).

Questa manovra l' ho vista fare anche a ragazzine di 11 anni e di solito mi cimento imbarazzata cercando di non finire in acqua, sotto gli sguardi divertiti di interi villaggi. Finché non mi incastro e con un sorriso mi faccio aiutare dai marinai (che se son di fiume non dovrebbero essere fiuminai?).
Stanotte non c'ho cazzi, metto il cavalletto e poi guardo direttamente il tipo con un mezzo ghigno, capita l'antifona viene a girarmi la moto.
Appena tutte le moto sono a bordo ritirano la passerella e con un grosso legno tra la riva e la barca un ragazzino scheletrico fa leva spingendoci verso l'oscuro fiume.
Ci allontaniamo quello che basta per girarci con la prua verso l'altra sponda, e legare affiancate le due barche. Il grosso motore scaracchia e borbotta, sputacchia e non parte.
Sorrido nel buio. Sarebbe il colmo.
Il ragazzino scheletro non si scompone, ritenta fiducioso mentre la corrente inizia a sospingerci verso sud, il cielo è oscuro di nubi e un vento da temporale soffia umido. Lo scialacquio del fiume e lo scaracchiare del motore s'intervallano ad un silenzio premonitore, uno squarcio tra le nubi rivela una visione paurosa, un blu cobalto punteggiato di astri fiammanti.
È un attimo che mi sento catapultata in un altro spazio e in un altro tempo. Una parte di me é seduta su un regionale Trenitalia con le orecchie tese all'ascolto, l'altra è nel sud est asiatico a solcare i mari con una ciurma di pirati malesi. Il buio selvatico il sapore di avventura l'attesa per qualcosa che arriva rapido e sconvolgente come un temporale.
Torno qui, senza sapere se su quel treno stavo solo fantasticando mentre mio padre mi leggeva le avventure di Sandokan oppure se ho davvero avuto un assaggio di quello che sarebbe stato.
Quanto mi piaceva Sandokan.
Con un ultimo scaracchio pronunciato con la stessa anzianità di una bestemmia in dialetto il motore parte, sospingendo le barche a contrastare la corrente.
Grosse nubi gravide di gocce si alternano ad un cielo paurosamente stellato, stiamo galleggiando in un impetuoso e trascinante buio, squarciato solo dalla potente torcia del nostro marinaio scheletro che ora si addossa anche l'onere del faro. Il cono rischiara tratti di fiume inquieto, tronchi solitari sfiniti dalla corrente, masse di arbusti e detriti agglomerate a formare isole temporanee ci si parano davanti. Per qualche momento son tentata di urlare sovrastando il rutto del motore, per avvertire lo scheletro che ci stiamo andando a schiantare, che quella pare proprio terra! Ma poi mi ricordo che l'unico corso d'acqua su cui son cresciuta è il naviglio, e che probabilmente lui nel Mekong ci è stato partorito.
Sto zitta. Ma il vento no. Si alza ad annunciare l'arrivo di sua maestà la tempesta, ci sferza la faccia e si fa beffe dei nostri tentativi di raggiungere Itaca.
Le due barche sobbalzano e cozzano e si allontanano, due marinai e Thol si apprestano a stringere le funi per tenerle assieme mentre Kuy, il mio altro collega si sbriga a mettersi un giubbino salvagente per poi accendersi nervoso un altra sigaretta.
Evidentemente Kuy non sa nuotare; vorrei tranquillizzarlo e dirgli che se finisci nel Mekong di notte con un temporale in arrivo il giubbotto sarà buono solo perché è arancione fluo e sarà più facile vedere il tuo cadavere nel fango durante la prossima piena. Ma sfortunatamente non parlo il cambogiano abbastanza bene. Mi spiace per lui e mi limito a sorridergli.
Un paio di tuoni mi drizzano la peluria del collo mentre schizzi di acqua di fiume mi bagnano la faccia, assicurate le due barche Thol torna vicino a me a tenere ferme le moto, un'ultima onda le fa oscillare sui cavalletti e per qualche assurdo motivo cala il silenzio nei due secondi esatti in cui un tintinnio metallico cade dalla moto di Thol.
Ci guardiamo nel buio, guardiamo la moto, ci riguardiamo sapendo entrambi cosa fosse quel suono.
Accendiamo le torce, dapprima sul quadro delle chiavi, vuoto, subito dopo sulle assi del ponte, vuoto.
Ci guardiamo, le nostre luci si guardano, guardiamo la fessura buia tra le assi del ponte, quella in cui sono cadute le chiavi della moto di Thol.
Scoppiamo a ridere, tra il vento il buio e l'acqua impetuosa di fiume, ridiamo tenendoci saldi.
Fanculo questo lavoro è bellissimo.

Prologo.
Siamo arrivati a riva prima che la tempesta scoppiasse e guidando veloci ce la siamo lasciata alle spalle, le chiavi le abbiamo recuperate una volta sbarcate tutte le moto alzando qualche asse, e l'ora e mezza di strada per arrivare a casa mi ha lasciato le energie solo per scrivere la prima parte di questo racconto.
Ecco perché ci ho messo due mesi a scrivere la seconda.
E quasi un anno per condividerla con voi.

Stupenda illustrazione finale di amica Lemure (Instagram Agnesoride)