Quattro anguille


-Non mi piacciono … - Mom guarda le anguille che fluttuano come ramoscelli attaccati al fondo dell’acquario.
- Perché no? Io le trovo davvero interessanti … -
- No, non mi piacciono nemmeno da mangiare – Mom continua a guardare con disprezzo le anguille di palude – sai, sono loro che mangiano i cadaveri sotterrati, per quello che non le mangio.-
Mi fermo un attimo a pensare ma con scarsi risultati, il mio sguardo interrogativo si posa su Mom che sospira e come fa sempre, mi spiega.
- Spesso quando muore qualcuno e la famiglia è troppo povera per poter fare la cerimonia completa, si fa una cerimonia ridotta, con solo un monaco e invece che bruciare il corpo lo si seppellisce, in attesa che ci siano altri morti in famiglia o nel villaggio per poter accorpare le cerimonie. Ma quando le piogge arrivano e la terra si allaga per mesi le anguille escono dai fossi e dalle risaie e si infilano sotto la terra e vanno a mangiare i cadaveri, e quando tiri fuori il cadavere per la cerimonia escono tutte le anguille. -



Un’alta struttura in legno avvolta da drappi bianchi e decorazioni si staglia in mezzo al campo, quattro piccole capanne in bambù le fanno da cornice ad ogni angolo, in ognuna di queste siede una monaca che pregando guida le anime dei defunti. Un palco coperto è allestito poco distante, le stuoie per terra e le composizioni di fiori, incenso e offerte circondano un gruppo di monaci che intonano una nenia ipnotica, di fronte a loro le famiglie siedono sui talloni con le mani giunte palmo a palmo. Indossano abiti bianchi, i figli maschi si sono rasati la testa e le sopraciglia e seguiranno le restrizioni dei monaci per tutta la durata del rito funebre.
Davanti al palco è allestito un padiglione composto da svariati gazebo e decine di tavoli imbanditi, gente che beve e mangia e mangia e beve, degli amplificatori diffondono musica pop cambogiana che fa a pugni con la nenia dei monaci. Sembra come se un funerale e una festa di paese si siano trovati a condividere lo stesso spazio per un errore con le prenotazioni, e siano finiti per fondersi in maniera efficace ma anomala.
Non vedo tristezza o cordoglio, non riesco ad individuare la famiglia del defunto e non so come comportarmi, mi giro verso Mao e le chiedo; - Mao ma chi è il morto?
lei ride e mi risponde – Chi? Ci sono molti morti, uno è lo zio di mio padre.
Rimango un attimo contraddetta – Okay, ma chi è la gente vestita di bianco seduta davanti ai monaci? – chiedo ancora io – ah, loro padre è morto una settimana fa, questo è il suo funerale!-
mi incazzo – c’mon Mao help me! – lei inizia a ridere con la sua risatina contagiosa che segna il momento in cui smette di essere utile, mi giro verso Dani – Dani… spiegami ti prego che tua sorella non sa nulla- Dani ride e sospira, poi inizia a parlare in Khmer con sua sorella che dopo qualche botta e risposta si prepara a tradurre: - ci sono più morti, alcuni morti da anni e seppelliti, altri morti pochi giorni o mesi fa; questa è la festa per bruciarli. Devi fare una grande festa per il funerale e costa molto perché devi pagare i monaci e il cibo e tutto, quindi le famiglie aspettano e quando ci sono 4 o 5 famiglie con morti nel villaggio si mettono assieme a fanno la cerimonia. - - ah capisco, è per quello che nessuno è triste o piange? Nel mio paese ai funerali non si parla e tutti piangono – ah no, anche qui la gente piange ma magari solo per i primi due o tre giorni del funerale- risponde Mao – i primi due o tre giorni? Quanto dura di solito un funerale? - - di solito sette giorni, ma questo solo tre giorni perché non avevamo tanti soldi! – e scoppia a ridere ancora.



Nak si affaccia alla porta della vet room, con il sorriso di chi sta per fare una domanda bizzarra: - Julia, la gente vuole sapere come tenere un cadavere fresco per tanti giorni senza che puzzi..- io e Julia ci guardiamo perplesse. Chi è la gente? Di cos’è il cadavere? È un cosa o un chi? Ci sta nel frigo? Hanno un frigo? Ma soprattutto, perché?
Esortiamo Nak a darci più informazioni: il fratello/cugino di qualcuno al villaggio è morto stamattina, incidente in moto. Ma i monaci dicono che non si può seppellire fino a sabato prossimo (7 giorni) perché porterebbe sventura, quindi il corpo va tenuto in casa fino ad allora. Ma ci sono 40 gradi. – chiedono se conosci qualche medicina per tenerlo fresco e che non puzzi – Julia sorride lievemente – ci sarebbe la formalina, ma te ne servirebbe moltissima e qui è illegale, quindi non penso si trovi facilmente. L’unica opzione è coprirlo di ghiaccio. – Nak se ne va deluso della risposta. Julia si gira verso di me e aggiunge “ la formalina era legale fino a qualche tempo fa, ma poi si sono accorti che la gente al mercato e le fabbriche di insaccati la usavano per tenere la carne fresca più a lungo … -



Ci scambiamo un’occhiata di sfuggita, siamo solo in tre Barang qui, e non abbiamo idea di cosa fare – io seguo te eh, dimmi che fare – sussurro nelle orecchie a Pheap; lei ride, un po’ troppo forte per essere a un funerale. La seguiamo su per le scale della pagoda, ci togliamo le scarpe prima di entrare,
- ora salutiamo il Buddha, tre volte – si inginocchia sedendosi sui talloni e noi con lei, unisce le mani palmo a palmo di’innanzi alla faccia e poi inchinandosi faccia a terra poggia entrambi i palmi sulla stuoia in direzione del Buddha. La imitiamo per tre volte. Una grossa statua color oro del Buddha seduto in meditazione e tra le mani, sul suo grembo, riposa un minuto gatto bianco e rosso, le orecchie sagomate di croste e gli occhi socchiusi puntati sugli umani venuti a venerarlo.
– Adesso possiamo salutare lui.. – dice Pheap alzandosi, ripetiamo la stessa operazione davanti alla “Bara”. È una cassa di legno la cui forma ricorda vagamente una barca, è dipinta d’oro e una stuoia le fa da coperchio, davanti ed intorno ad essa composizioni di fiori gialli e bianchi e coppe di metallo giallo piene di incenso e offerte.
Non erano nemmeno le 5 di mattina quando son venuti a svegliarci, Moneyrat ha avuto un incidente in moto venendo a lavoro e serve una macchina che lo vada a portare all’ospedale. Non facciamo in tempo a salire in macchina che una seconda chiamata ci fa rallentare, è troppo tardi per l’ospedale.
Non siamo noi ad avere a che fare con la morte, c’è qualcun altro che è pagato per farlo per noi, qualcuno che lava i nostri morti, li veste e li trucca, li rende meno orribili, terribili, morti.
Qui no. Il morto viene lasciato lì dov’è, finche un famigliare arriva a prendersene cura, nel frattempo la gente che passa dedica una preghiera e lascia un’offerta.
Mi è capitato di vedere persone morte lungo le strade, un drappello di persone al loro fianco e una pila di soldi e incenso vicino alle loro teste.
Questa volta i famigliari non stavano arrivando e i miei colleghi hanno caricato il corpo sul retro del pick up e l’hanno portato alla pagoda, dove, aiutati dai monaci lo hanno spogliato, lavato e rivestito con i suoi abiti. Come se fosse normale prendersi cura di questo, come se fosse ancora vivo, ma solo dormiente.
Appena lo spirito lascia il corpo è spaventato, è confuso e arrabbiato, quello che è successo va oltre la sua comprensione e potrebbe perdersi, per quello chi gli è accanto gli parla, raccontandogli della morte e della sua vita, guidandolo passo passo per rassicurarlo e mostrargli la via, dal momento della morte e per i tre o sette giorni successivi ci sarà sempre qualcuno, giorno e notte a parlare con lui (pregare), con nenie in Pali eseguite dai monaci o le stesse riprodotte all’infinito da piccoli speaker posizionati vicino al corpo, probabilmente versi dal Libro Dei Morti.
Il giorno del funerale indossiamo tutti pantaloni neri e la divisa del lavoro; i miei colleghi ridono e scherzano ad alta voce fuori dalla pagoda i bambini trotterellano a piedi nudi inseguendo i gatti, e noi stiamo lì impalati. È strano trovarsi qui, io e Cognoman ci guardiamo a disagio, tutte le convenzioni sociali e l’etichetta da funerale dei nostri paesi di origine cozza violentemente con quello che abbiamo attorno, e non sappiamo come comportarci. Mom ci si avvicina e ci chiede come stiamo; “ sai per noi è strano tutto questo, i funerali nei nostri paesi sono molto diversi..” le spiega Cognoman “ come sono i funerali lì?” chiede Mom “tutti vestono di nero, e nessuno parla e nessuno ride” le spiego “quando parli sussurri e tutti si va uno ad uno dalla famiglia del defunto a dire che ti dispiace e che gli sei vicino nel dolore “ (non sapevo come tradurre condoglianze in una maniera che fosse comprensibile). Mom non ci pensa due volte, si gira verso il gruppo di schiamazzati colleghi e li richiama all’ordine e al silenzio con un sonoro SSSSSHHHHHHHHTTTT e un indice piazzato davanti alla bocca. Stavolta siamo noi a scoppiare a ridere “ ma no Mom, quello che facciamo nei nostri paesi non è quello che devono fare tutti. Volevamo solo spiegare perché per noi sembra tutto così strano”.
Strano è la parola giusta. Avrei voluto avere un audio-guida all’orecchio che mi desse un’interpretazione di ciò che ho visto, invece ho cercato di catturare e ogni particolare e ho passato ore a ricercare in testi e siti il significato delle cerimonie (ora posso, più o meno, essere la vostra audio-guida mentre vi racconto).
La pagoda è per tre lati aperta e sostenuta da colonne, sui muri scene del Reamker (la versione cambogiana del Ramayana) sono dipinte su una striscia al di sotto del soffitto in legno; un uomo deforme dalla pelle blu viene cacciato a bastonate da un tizio con un’aura arcobaleno attorno alla testa, una ragazza inginocchiata davanti a un uomo aquila che tiene due serpenti con molte teste tra gli artigli etc. Sulla sinistra un palco di legno ospita delle stuoie imbottite dove siedono i monaci, quattro. Tutti sediamo sui talloni, sulle stuoie tra il palco e la barca-bara. I monaci nelle loro vesti arancio intonano una nenia di parole intervallate da canti, non sono sicura se le parole siano in Khmer o in Pali, alcuni dei miei colleghi sembrano conoscerle e sanno quando congiungere le mani e genuflettersi. Vesnak siede a lato, vicino ai monaci, completamente vestito in un abito bianco dalle larghe maniche lunghe più delle braccia. Ha rasato i suoi capelli da teppista e le suo sopracciglia, sorride guardandosi intorno, è chiaro che non abbia alcuna idea di cosa ci si aspetti da lui. I figli maschi del defunto e a volte anche la moglie si rasano la testa in segno di lutto. Vesnak non è parente di Moneyrat, non lo conosceva nemmeno da tanto, ma si è offerto volontario per diventare apprendista monaco per tutta la durata del funerale al posto del figlioletto di Monyrat, troppo piccolo per adempiere al ruolo che tradizionalmente spetta al figlio maggiore. È quindi Vesnak che per portare onore a Monyrat si fa monaco per qualche giorno accompagnandolo in questa transizione da un rango superiore a quello di un civile. Roann siede a fianco a lui, suggerendogli cosa fare e cosa dire, Roann è uno dei muratori, ma prima di lavorare con noi è stato monaco per molti anni. È buffo vedere Vesnak così, ogni volta che incrociamo gli sguardi non riusciamo a trattenere un ghigno, lui è il diciannovenne scapestrato che suo padre, il poliziotto che vive nella capanna in cima alla montagna ci ha chiesto di assumere per tirarlo via dalla gang con cui bazzicava.
Parte della cerimonia è incentrata sui meriti del defunto, si citano i suoi successi e le cose buone che ha fatto, c’è chi ha letto il suo curriculum vitae, chi ha parlato bene di lui come amico o fratello, il tutto per conferire al defunto tutti i suoi crediti e aiutarlo a raggiungere i punti karma necessari ad avere una buona sistemazione nell’aldilà (questa è ovviamente una semplificazione ma è stata anche la spiegazione fornitami dal mio collega).
Un filo rosso viene srotolato dalla matassa dai monaci e posizionato con cura di fronte a loro mentre pregano, seguo il filo con gli occhi, su fino ad entrare in un asola di metallo attaccata ad una colonna a qualche metro da terra, il filo poi riscende per scomparire sotto la stuoia che fa da coperchio alla bara.
Ci alziamo ( con fatica visto che le ginocchia si sono anchilosate) i miei colleghi vanno a sollevare la bara e la fanno girare su se stessa per tre volte, prima di sistemarla su un carro provvisto di volante, baldacchino e fiori, sul quale salgono anche tre dei monaci. Il filo rosso viene avviluppato attorno ad una corda fatta di erba secca intrecciata lunga diversi metri e culminante in un cerchio fatto della medesima. Seguo le mie colleghe, che si dispongono in fila lungo la corda d’erba e tenendola sospesa con le mani, mentre i miei colleghi maschi si dispongono attorno al carro pronti a spingere “ Mao va bene se mi metto qui?” chiedo cercando di capire se sono nel posto giusto “ si, di solito le ragazze stanno davanti e gli uomini spingono il carretto. Ma non è una regola, è solo perché spingere il carro è faticoso e noi siamo più furbe” mi dice Mao con una risata. Davanti a noi, alla fine del filo d’erba c’è Vesnak, che indossa il cerchio d’erba come una corona e viene caricato in spalla dal fratello del defunto. A fianco a loro altri parenti che portano la foto e i fiori e la moglie, che porta un cesto sulla testa dal quale lascia cadere dietro di se mentre avanza quelle che dovrebbero essere monete, ma che sono caramelle, banconote di piccolo taglio e popcorn sbriciolati, prontamente raccolti dai golosi che la seguono.
“ la moglie non deve mai guardare dietro di sé durante la processione” mi sussurra Mom. Il ruolo della moglie è forse il più difficile, lei deve “lasciare andare il marito” altrimenti il suo spirito non può iniziare la prossima fase dell’esistenza.
Alla testa della processione il monaco anziano, seduto in preghiera su un piccolo trono dorato posto sul retro di un pickup e circondato da casse collegate al microfono che amplifica la sua litania.
Avanziamo sulla strada malamente asfaltata, guidati da Roann al volante del carretto collaboriamo tutti per cercare di farlo avanzare alla velocità giusta per tenere il passo con la testa della processione e allo stesso tempo non investire nessuno. Sono così concentrata nel compito che mi sono affidata che mi scordo di essere ad un funerale, me lo ricordano solo le persone ai lati della processione; i loro guardi spenti puntati sulla bara a nemmeno due metri da me mi riportano al contegno che la situazione richiederebbe. Più volte il carretto è rimasto indietro e la corda d’erba si è tesa pericolosamente, fino a che non è scivolata via dalla testa di Vesnak cadendo al suolo, sono rimasta un momento impietrita, scandagliando velocemente i presenti nel tentativo di capire se il fatto fosse grave o meno, ma nessuno si è scomposto e il primo della fila ha raccolto la corona d’erba e con un grottesco tentativo ha iniziato a saltare per rimetterla attorno al cranio di Vesnak colpendolo goffamente in testa con essa più volte, tra le risate generali.
Giungiamo al piccolo edificio di mattoni dove il corpo verrà cremato, è una casetta dipinta di bianco con numerose piccole finestre tutt’attorno da cui partono strisce nere verso il cielo.
Prima di deporre la salma davanti al crematorio dobbiamo girare attorno ad esso per tre volte in senso antiorario, cosa che si rivela molto più difficile del previsto, il piazzale di cemento attorno al crematorio è piccolo e circondato da vegetazione, le crepe da cui partono fili d’erba e sottili rovi fanno incastrare le rotelle del carretto; fermi, avanzate, piano, veloce, a destra, a sinistra, io e Mao siamo le ultime della file, giusto prima del carretto e facciamo passare le comunicazioni tra la testa e la coda, quando terminiamo i tre giri tornando all’entrata ci stacchiamo dal filo d’erba e ci uniamo alla piccola folla a lato del piazzale.
La bara viene posta davanti all’entrata del forno crematorio, due grossi vasi ospitano candele e bastoncini di incenso, quattro persone rimuovono la stuoia e l’enorme busta di plastica piena di ghiaccio (ora acqua) che teneva il corpo freddo. È il momento dell’ultimo saluto, uno ad uno ci si avvicina alla bara, si accende l’incenso e si prega o si assolve il defunto da qualsiasi torto o sgarbo fatto in vita di modo che possa lasciare questa terra senza questioni in sospeso. C’è chi sale i pochi gradini fino ad affacciarsi a dare un ultimo sguardo, io non ne sento il bisogno, accendo il mio incenso e saluto Moneyrat e torno in dietro in tempo per vedere la moglie, in fondo alla strada che cammina di spalle, da sola con il suo cesto in testa, senza voltarsi.

La bara-barca viene svuotata delle coperte e cuscini e spinta dentro il piccolo edificio, su una struttura in cemento nera di fuliggine e il fuoco viene acceso. Rimaniamo lì a guardare le fiamme uscire impetuose dalle finestrelle e dalla porta, Mom piange e io l’abbraccio ma il mio cervello salta da un pensiero all’altro, sarà alimentato a gas? Molto più probabilmente è benzina, no la benzina esplode, meglio il diesel. Il meglio è una miscela di 70% diesel che brucia a lungo e 30% benzina che garantisce che il fuoco si accenda bene e la temperatura rimanga alta, come quando bruci i grossi mammiferi morti avvelenati per decontaminare la zona.

Il giorno dopo c’è la cerimonia delle ossa, dove la famiglia e gli amici raccolgono quello che non è bruciato nella pira e lo portano a casa o lo lasciano nella stupa. Ma quella è un’altra storia, un’altra anguilla.



In Memoria di Ly Monirath, Maestro della disciplina dello Sticazzi Cosmico, di cui grazie anche a lui ora sono fervente seguace. Grazie e buon viaggio.