The Wake

Se non mi avessero promesso che avrei passato almeno cinque giorni al mese nella foresta non avrei mai accettato, si trattava di trasferirsi in una città che non conoscevo ma che mi veniva descritta come brutta e noiosa ( dusty shithole la chiamavano) a fare un lavoro che non sapevo fare in una lingua che non conoscevo. Ancora oggi mi chiedo quale processo mentale contorto possa averla fatta sembrare una buona idea. Ma così è andata e due anni sono volati in un soffio.
Aspettavo i viaggi nella foresta con trepidazione confinata in ufficio passeggiando in tondo facendo mente locale dell'equipaggiamento da portare, delle provviste, “devo controllare l'olio alla moto, gonfiare i pneumatici, mettere a caricare le batterie della torcia elettrica... “
Una volta al mese si va' a comprare una vacca, possibilmente già morta anche se a volte te la uccidono al momento, poi la si carica sul carretto si lega il carretto alla moto e si va'. Non è lungo il tragitto nella foresta fatto di sottili sentieri a misura di moto o di profondi e fangosi solchi fatti dai trattori dei tagliatori di alberi. A volte è tutto allagato e si scende a spingere il carretto finchè si può cercando di non farlo ribaltare nell'acqua torbida, spesso si fallisce e ci si ritrova fradici ad abbracciare la povera mucca morta nel tentativo di sospingerla di nuovo sul carretto impantanato.
La capanna è nel mezzo di quella che è definita “DDF” o foresta secca di Dipterocarpo, un tipo di habitat caratterizzato da foresta poco fitta e alti prati che cambia drasticamente dalla stagione secca a quella delle piogge. Uno spiazzo privo di erba ed alberi sorge sul lato Nord della casa qui dal terrendo spuntano frammenti di mandibole e omeri, teschi e zoccoli; qui si lascia la carcassa fresca per poi ritirarsi all'interno della capanna alcune decine di metri più in là.

E poi si aspetta, cercando di non addormentarsi quando il caldo e il silenzio si fanno pesanti come le palpebre e la pelle si ricopre di uno strato oleoso di sudore e l'aria immobile vibra del rumore assordante delle cicale. La piccola finestrella tagliata tra le listarelle del bamboo come un televisore che trasmette un solo canale, uno strano film d'avanguardia con una mucca morta gonfia sotto il sole della tarda mattinata.

A volte non si muovono per tutto il giorno, stanno fermi sugli alberi osservando pazienti, quando finalmente l'afa cala e la fame si fa più pressante i più coraggiosi si fanno avanti atterrando a qualche metro di distanza e saltellano guardinghi verso la carcassa. A volte gli fanno strada i corvi, che atterrano agili sull'addome gonfio della vacca e gracchiano verso gli alberi invitando al banchetto coloro che possono garantigli l'accesso agli organi interni e le carni più tenere.
L'aria è carica di aspettativa, come quando si abbassano le luci dello stadi prima di un grande concerto, gli occhi puntati su quelle sagome nere appostate sugli alberi e poi il volo.

Arrivano gli avvoltoi.