Pessime idee, oppure , come molte scelte fanno paura solo prima di essere prese.



Quando mi sono trasferita a vivere qui non avevo alcuna intenzione di trasferirmi a vivere qui, l'idea era di fare due settimane di viaggio nel paese, poi quattro mesi di volontariato con gli animali, e poi boh si vedrà. Il “vedrà” era nella misura di trovare altri posti dove fare volontariato e guadagnare esperienza, viaggiare e conoscere un po' il mondo al di fuori di quella piccolissima fetta che già conoscevo, per poi tornare a casa carica e piena di idee e passione.

Poi un giorno, alla comunicazione della mia partenza un amico mi disse con noncuranza (che velava si un po di spocchia) “si, tanto lo sappiamo che non torni”, ho riso e risposto “si certo, come no”, ma qualcosa mi si è smosso dentro, una sensazione bizzarra, un ibrido tra il terrore e il sollievo, il figlio deforme di un ipotesi non contemplata sino a quel momento.
Poi sono passati quattro anni, e aveva ragione lui, non sono più tornata.

La notte prima del volo fissavo il soffitto pensando alla cazzata enorme che stavo per fare.
Partire, da sola, per mesi, per dove? Perchè? Che poi sia il Congo, le Seyshelles o cos'altro importa poco.
Accarezzavo la mia ansia (che per la cronaca è un Ouroborus cataphractus e vive in fondo al mio stomaco insieme ad un tasso) e le chiedevo chi fosse la suo amica, appollaiata a fianco a lei; aveva ali lunghe e appuntite e lo sguardo deciso di chi sa.
- “è sollievo, è speranza, è il terrore prima del salto, il vuoto dell'abisso sotto di te e le caviglie che tremano” Le osservavo entrambi come fosse la prima volta. Ansia non stava masticando il fondo del mio stomaco e nemmeno raspando con le sue unghie i lati, sedeva tranquilla in disparte, lasciando il suo compare libero di muoversi con lo sguardo fisso su di me, come se mi stesse studiando, come se aspettasse senza fretta una mia azione. Passai la notte, o almeno parte di essa cercando di decifrare le intenzioni di quella nuova bestia il cui sguardo mi intimoriva in una maniera che mi incitava alla sfida.




“strette di mani, non abbandonati i pesci”

“ Giovedì 19 ottobre 2017 h 21.45, a casa.
Venerdì 20 ottobre 2017 h 01.18, qui.
Sorvoliamo l'India ad un altezza di 12496 m, andando ad una velocità di 887 km orari. Mancano ancora 2222km a destinazione, e io penso di aver avuto una pessima idea.



(estratto dal mio diario di allora)


Sono passati 4 anni da quel giorno, e pochi mesi di più dal giorno in cui, non sapendo bene perché, presi un biglietto singolo di sola andata per la Cambogia. Vivevo a Milano a casa di mia madre, lavoravo una quantità di ore avvilente in un fast food e scrivevo la tesi. Non ho aspettato di sapere il giorno della discussione della tesi per prendere i voli ed ecco che ero di ritorno da Parma con un diploma di Master in più e null’altro da fare se non festeggiare per le 24 ore che mi separavano dalla partenza dell’aereo.
Sembra ieri e allo stesso tempo una vita fa.
Mi chiedono spesso quando ho intenzione di tornare.
Sono passati quattro anni in cui lentamente e a tratti dolorosamente è cresciuta la consapevolezza che non esiste “tornare”. Il tornare che disegna il calore delle serate tra amici della bellezza dei giorni passati nel luoghi cari e con le persone della mia vita è un’illusione legata ad un luogo in una precisa coordinata temporale che, come si confà al tempo, è trascorsa.
Superando la sconcertante seppur scontata realizzazione che non si può tornare in dietro ci si ritrova elettrizzati di fronte all’infinito ventaglio di possibilità che ci si apre di fronte, non più un tempo e un luogo a cui tornare ma infiniti luoghi e tempi figli dell’inebriante consapevolezza di essere sempre a casa.

A volte di notte mi siedo a guardare la luna, accanto a me la creatura dalle ali lunghe e lo sguardo che sa, quello che ora so anche io.

“strette di mani, non abbandonati i pesci”